Ascoli Piceno | Palazzo dei Capitani

    2016  ·  Ascoli Piceno

    IO È L’ALTRO

    Palazzo dei Capitani

    Questo nuovo lavoro fotografico dell’artista brindisino Dario Binetti rappresenta l’evoluzione della sua vena artistica, partendo da un percorso, iniziato nel 2006 e avente come tematica le categorie del pensiero nel loro evolversi in modo dialettico. L’immagine sensibile, programmata, studiata, realizzata con tecniche creative, non ha finalità di concretezza visiva e figurativa del particolare momento dell’osservazione fenomenica, né esprime la particolare sensazione alla visione dell’oggetto, ma la spazialità ed il tempo sono espressioni simboliche del pensiero stesso, che parte da una ragione osservativa, sulla quale proiettare la struttura complessa ed interiore dell’ “Io”. Per questo l’artista si esprime in bianco e nero; non vuole che l’ immagine policroma centri l’attenzione più dei sensi che del messaggio ontologico. Non una sinestesia ma un incantesimo dell’immaginazione fantastica dell’ artista, che fa emergere la corrispondenza non con la realtà percettiva ma con quella del pensiero. Questo apparente contrasto del suo simbolismo con quello di Rimbaud, lo avvicina particolarmente al poeta, come anche ai contrasti e provocazioni di Baudelaire, così che l’apparente staticità dell’ immagine coglie ancor più profondamente la conflittualità interiore. Alla base del suo lavoro vi è il principio filosofico idealistico, secondo cui alla realtà del mondo sensibile e visibile corrisponde necessariamente una realtà del mondo invisibile,  cui l’uomo prende parte attraverso il suo dualismo, di realtà e spirito, di visibile e invisibile. Quale interprete della realtà, il fotografo Binetti è qui chiamato a rielaborare, in chiave fotografica e attraverso strumenti diversi dal criterio visivo, la concezione romantica della poesia, con lo scopo di dare vita ad un linguaggio fotografico simbolico, attraverso un seducente connubio tra  forme perpetuate dal mondo della danza e costruzioni fotografiche, unite alla stampa bianco nero. Come un nuovo Charcot o Breuer, di freudiana memoria, la sua arte non intende portare in superficie eventi inconsci realmente accaduti: è sufficiente che essi siano pensati o anche immaginati, per poter produrre gli effetti espressivi ed affiorare alla coscienza. Momenti singoli o associativi dell’ ”Io” non debbono essere interpretati come nel sogno o come vari contenuti latenti di tipo freudiano, i simboli creati dal Binetti sono la conseguenza non tanto di un’analisi interiore quanto della sua manifestazione e contenuto di pensiero, raggruppando così i due aspetti della psicologia e della sociologia della comunicazione. La valenza del messaggio ha valore di universalità, poiché l’ Io è nel suo essere lo stesso per tutti. Il noumeno kantiano dell’ Io diventa socializzante perché è lo stesso Io di tutti. Varia la soggettività dei momenti, delle sensazioni ma non l’ essenza del suo essere, come nell’espressione del poeta Baudelaire: ” tu sei uguale a me, sei mio fratello”, sino a giungere alla considerazione sartriana per la quale “l’estraneo è più simile a te di un parente”. Per comprendere meglio l’opera di Binetti potremmo didatticamente sintetizzarla e dividerla in tre sezioni o stadi evolutivi. Si parte dalla dicotomia “ Io pensante e corpo “, ma, pur se apparentemente coincidente con la res cogitans e la res extensa di Cartesio, Binetti non riconosce la possibilità finale del filosofo di far interagire le due sostanze, ma ritieni la capacità dell’ Io pensante di modellare il corpo, frutto della stessa razionalizzazione. Il linguaggio ed il pensiero non fanno parte del modello meccanico del corpo; questo è la pagina, dove l’uomo scrive e manifesta il suo pensiero. Il messaggio si presenta in tre sezioni con una quarta intermedia ed ognuna di esse comprende due tipi di immagine : dell’ Io e del corpo Prima Sezione : l’ Io con se stesso (ripercorrendo in parte le idee innate di Cartesio e, senza contrasto, l’ idea in sé hegeliana). Fase inconscia , che sfugge all’atto di rimozione di Freud, ma che trova nella rappresentazione del viso l’elemento capace di ricondursi all’Io, escludendo la rimanete corporeità. Seconda Sezione : l’ Io in rapporto all’altro. Sottosezione: L’incognita dell’altro, nella quale le forme del corpo si intrecciano con quelle di un altro corpo (normalmente rappresentato con toni più scuri, che tendono a confondersi con lo sfondo), per rappresentare il migrare della forma da altre forme verso la presenza di un pensiero estraneo, che interagisce con l’ Io pensante. Sottosezione: La presenza dell’altro, nella quale Il pensiero estraneo interagisce violentemente con l’ Io pensante, condizionandone pensiero e forma. Terza Sezione: l’Io e la coscienza collettiva, ossia l’immagine del pensiero, modellato dalla coscienza collettiva. Il lavoro, in continua evoluzione, abbraccerà anche le problematiche dell’ Io e la percezione del sensibile invisibile, un viaggio interiore sulla percezione della presenza di un vissuto passato. Può avvicinarsi alla triade hegeliana di tesi – antitesi – sintesi (idea in sé, fuori di sé, in sé e per sé), ossia il divenire della fenomenologia dello spirito dalla coscienza all’autocoscienza dell’ Io e dell’ essere, anche se, magico paradosso, questa ipotesi si avvicina anche al pensiero di Sartre, che sottolinea l’importanza della riflessione come lavoro critico durante la vita. Binetti fa suo questo aspetto sartriano in merito alla differenziazione tra la psicanalisi esistenziale e quella empirica, condividendo l’ipotesi che l’astratto è anteriore al concreto e questo non è un’organizzazione di qualità astratte. Ogni atto ha una sua comprensione preontologica. Binetti si muove in una dimensione specifica di riferimento: “… il mondo della letteratura e della filosofia mi fornisce le idee, le arti non verbali mi aiutano a simbolizzare, la fotografia mi permette di realizzare “. “Io è l’altro” riflette il passaggio dal realismo fotografico al simbolismo, attuato attraverso la danza del corpo. L’immagine fotografata esprime la dualità Io – Corpo in sezioni, dove vengono raffigurati solo volti (centralità dell’ Io, dove l’aspetto antropologico è nascosto rispetto alla figuratività del pensiero) e in altre raffigurati solo corpi,:il volto è spesso oscurato, è eclissato in onore della figuratività dei corpi, per evitare che la potenza dello sguardo, la sua capacità di introspezione, accentrerebbero in sé tutta l’importanza simbolica ed antropologica, che l’immagine richiama. Ecco perché la scena in queste sezioni è rappresentata solo da corpi, perché attraverso la realtà e la superficie di un corpo si vuole andare oltre, in una realtà che non lo è. E’ il corpo che ci conduce alla prospettiva dell’invisibile. Questi corpi sono androgini, e , quando non lo sono, la nudità femminile identifica la parte emotiva dell’essere. Non nudo ma nudità, un essere scoperto che vuole ricondurre ad una immagine simbolica ed alla ricerca del valore autentico. E’ il corpo bianco, che vuole condurre all’oscurità della parte nera ,che è emotività e che si nasconde, confondendosi con lo sfondo .Il dualismo di due corpi apparentemente antitetici e la presenza di volti e corpi contemporaneamente presenti, ma appartenenti a soggetti differenti, richiama il simbolismo del doppio. Le immagini sono un elogio del doppio, della parte oscura che ci abita e che ci appartiene, un grido figurativo che dà voce all’irrompere dell’inconscio, all’incognita dell’altro che è (in) noi. Il visibile non è che un ponte necessario, per andare oltre, verso ciò che non si distingue, ma lo completa,;il corpo in primo piano è ciò che illumina l’altro, dandogli luce. A volte l’intrecciarsi dei due corpi è un gioco d’amore, di conoscenza, altre ancora scontro ma sempre esito di un incontro, di un abbraccio. Inoltre, la percezione della doppiezza porta a anche alla rappresentazione di un terzo, che è la possibilità sartriana in cui la dualità può raffigurarsi di volta in volta; è la sostanziale poliedricità dell’Io , la complessità della realtà, il gioco tra classificazione e seriazione, il rapporto modificabile tra io ed il gruppo. E’ il “Je est un autre” di Rimbaud. Siamo davanti al concetto di essere, inteso non in forma statica , sia essa morale – ideologica – politica – sociale, ma in fieri: dall’ignoto verso la coscienza collettiva .. e oltre. Certo è che la complessità del messaggio dell’artista Binetti richiede particolare impegno semiotico .

    Rocco Fazzini